Intervista a Stefania Da Pont, traduttrice J-Pop

Tempo di lettura: 4 minuti

Spesso si dà per scontato che, prima di arrivare in Italia, un manga debba passare attraverso alcune fasi di lavorazione. La più importante: la traduzione.

Abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda a Stefania Da Pont. Traduttrice di manga da oltre 10 anni, collabora con la casa editrice J-Pop, caposaldo dell’editoria shoujo manga. Tra i suoi lavori ricordiamo La Corda d’Oro di Yuki Kure, Penguin Revolution di Sakura Tsukuba e Attack No.1 di Chikako Urano.

Se dovessi presentarti ai lettori di Shoujo Love Blog con 3 parole, quali useresti?

Tre parole? D’istinto mi vengono in mente Giappone, libri e tè.

Quando è nata la tua passione per il Giappone?

Ai tempi del liceo. Ho iniziato a leggere manga e nel frattempo, grazie a un amico di famiglia sposato con una signora giapponese, mi sono interessata al Giappone e alla sua cultura. Tutto questo, unito all’amore per lo studio delle lingue, mi ha portato a scegliere di studiare giapponese all’Università.

Come si svolge il lavoro di traduzione di un manga?

La Corda d'Oro
La Corda d’Oro

Io lavoro con un’unica casa editrice da parecchi anni, quindi ormai ho un rapporto di confidenza con loro e la possibilità di concordare gli incarichi e le tempistiche. Di solito, mi viene proposta una serie (preferibilmente nelle mie corde, perché non tutti i manga e non tutti i traduttori sono uguali) e una volta accettata stabiliamo un calendario di massima per le consegne. Mi vengono poi spediti 1 o 2 volumi alla volta e io mi occupo del baloon placing (ovvero, numerare i dialoghi e le onomatopee) e della traduzione. Se durante la traduzione ho dei dubbi, posso sempre far riferimento alla mia editor, che fa anche da tramite con la casa editrice giapponese. Dopo la rilettura finale, consegno il file che passerà poi alla fase di adattamento.

Purtroppo, i tempi di solito sono spesso piuttosto stretti, cosa che sicuramente non giova alla qualità del risultato finale. E non giovano nemmeno le tariffe piuttosto basse riservate alla categoria: una condizione comune, questa, che si trovano ad affrontare quasi tutti i traduttori di manga italiani.

Qual è la differenza tra tradurre un manga e un testo di altro tipo?

Kozue Ayahara
Kozue Ayahara

I manga vengono spesso considerati come più “facili” dai non addetti ai lavori (gli stessi che probabilmente li considerano “roba da ragazzini”), ma non è così. Non sono automaticamente né più facili né più difficili, sono “diversi”. Nel fumetto infatti si fa ovviamente più uso del linguaggio colloquiale, di frasi sospese o non complete tipiche del parlato, a volte di slang. Inoltre, vanno tradotti anche i rumori, ovvero le onomatopee. La cosa non è da sottovalutare perché in giapponese queste sono molto più numerose e non si limitano a qualche “bang” o “boom” qua e là, perciò bisogna avere una certa creatività nel tradurle. Il vantaggio dei manga rispetto a un normale testo scritto sono ovviamente le immagini, che forniscono un contesto a ciò che viene detto. Questo è particolarmente utile dal momento che la lingua giapponese, per sua natura e grammatica, è spesso ambigua e lascia diversi elementi sottintesi.

Ti è mai capitato di avere difficoltà nel tradurre una parola o un modo di dire tipicamente giapponese?

Stefania da Pont sul lavoro,  Foto di Stefania Da Pont
Stefania da Pont sul lavoro, Foto di Stefania Da Pont

Mi è capitato e mi capita, purtroppo è abbastanza normale trattandosi non solo di una lingua ma anche di una cultura lontana e differente. Esistono diverse espressioni giapponesi apparentemente “intraducibili”, che non hanno un corrispondente esatto in italiano. In quei casi, si cerca di scegliere di volta in volta l’espressione italiana che più si avvicina, quello che avrebbe detto in italiano lo stesso personaggio in quella situazione provocando più o meno lo stesso effetto nel lettore. Un esempio significativo è l’espressione itadakimasu che i giapponesi usano prima di un pasto. È una parola semplice e frequente, che istintivamente rimanda al “buon appetito” italiano… con la differenza che itadakimasu è un ringraziamento che ognuno pronuncia per sé, non un augurio verso gli altri commensali. Quindi, se “buon appetito” è accettabile quando le persone a tavole sono più d’una, suonerebbe invece ridicolo quando la persona che mangia è una sola.

Sappiamo che oltre a tradurre manga, porti avanti altri progetti/attività legati al Giappone. Vuoi parlarcene?

Volentieri! Faccio parte di un’associazione giapponese della mia città, con la quale organizziamo diverse attività riguardanti il Giappone. In particolare, io mi occupo dei corsi di lingua per principianti. Sono corsi per persone che imparano il giapponese per passione, come hobby: una cosa che incoraggio sempre, perché può essere divertente e dare tanta soddisfazione!

Qual è il primo manga che hai tradotto e quello che ti è rimasto nel cuore?

Copertina del manga Orange Kiss
Copertina del manga Orange Kiss

Se non ricordo male (sono passati più di 10 anni… aiuto!) è stato proprio uno shojo: Orange Kiss di Usami Maki, un volume unico. Quello che mi è rimasto nel cuore tra quelli tradotti forse Attack no.1, perché mi ha riportato alla mia infanzia, quando guardavo il cartone animato di Mimì (che ovviamente nel manga non si chiama così, bensì Kozue).

Se dovessi consigliare un manga ai nostri lettori, che titolo sceglieresti?

Il mondo di Ran di Aki Irie: non è uno shojo, ma sono sicura che potrebbe piacere anche ai lettori di questo blog. È uno slice of life che racconta le avventure di Ran, una giovane strega di 10 anni ancora alle prime armi, ma con il potere di trasformarsi a piacimento in una liceale… grazie a un paio di scarpe da ginnastica!

E con questo consiglio si conclude la nostra intervista. Ringraziamo Stefania per la disponibilità e speriamo di avervi fatto scoprire nuovi aspetti del mondo editoriale dei manga.


Credits

Immagini: Stefania da Pont

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